«Emiliano trapiantato ben presto in Brianza, Fausto Silva ha succhiato dalla terra
d'origine una concezione della vita che fa coincidere l'anarchia con la libertà,
perseguite senza enfasi, senza autocompiacimenti, senza odii, ma con virile costanza
e caparbietà.
Da sempre asceta dell'arte - mestieri qualunque per campare lo stretto necessario -,
dopo aver rifiutato ghiotti allettamenti in odore di compromesso, superata la cinquantina
ha sentito il bisogno di rompere un volontario isolamento (...).
Oggi finalmente il desiderio è di aprirsi al confronto con il pubblico e conseguire
così la pienezza dei suoi scopi.
Perchè, secondo Silva, l'arte va sfrondata dalle fuorvianti mitizzazioni che di norma
la circondano, le estetiche innalzate a fine ultimo, le pseudovalenze morali o politiche,
le paralizzanti soggezioni artificialmente indotte dalle mode o dai grandi nomi pur consacrati
dalla storia.
Per lui l'arte è solo un mezzo, una forma di comunicazione.
Che poi, per intrinseche prerogative, più di altri linguaggi sappia avvicinarsi
all'essenza delle cose e sfiorare l'indicibile, questo è un dato di fatto da
cogliere e godere con la massima pacatezza.
Grazie ad una sterminata cultura artistica costruita e coltivata da autodidatta, Silva va
meditando a fondo la pittura contemporanea per filtrarla alfine in una poetica propria,
scevra di debiti o di citazioni puntuali, che da lui sarebbero avvertiti come limitanti.
Al centro del suo discorso ci sono i frammenti di una realtà dove tutto ha uno stesso
peso specifico - l'uomo, la natura, la storia, il sogno, i ricordi, lo spazio, il tempo -,
dove tutto incessantemente si mischia, si compenetra e interagisce, così come
incessantemente si evolve verso il futuro ed elabora i sedimenti del passato. La
possibilità di comprensione appare pertanto circoscritta al
qui ed ora
e per di più risulta condannata senza appello ad approssimazioni sostanziali.
»
Antonio Viganò"
- responsabile della biblioteca di Briosco e collaboratore della rivista "Brianze"***"
« (...) Silva lavora come se dovesse collocare la scultura dentro un preciso spazio pittorico.
Ripudia le cose fatte in passato, concentrato com'è sulla consistenza
vitale del presente, in cui intende considerare la totalità delle
possibili relazioni con tutto ciò che lo circonda. Lo fa con una sua tecnica
particolare creando forme tridimensionali che si impregnano di colori forti,
violetti, bruciati, a volte sanguigni, in cui mescola terra di bosco con sabbia grossa
e olio di lino cotto sino a raggiungere l'effetto desiderato.
(...) In alcuni lavori di Silva c'è, evidente, un bisogno di quiete o di serenità
da ritrovare, in cui la pittura rappresenta l'elemento capace di generare il
necessario equilibrio nell'attuale contesto nevrotico in cui sembra prevalere la tecnologia
che, oltre a distruggere l'ambiente, porta con se' il suo pesante carico di rumori,
l'eccesso di immagini, di suoni, di colori, di frenesie scomposte e indisciplinate. »
da "L'Esagono" del giugno 2000 -
articolo di Franco Rizzi in occasione della mostra di Brugora***
«Fausto Silva, un artista al di fuori di ogni corrente, per il quale creare significa
dare esistenza alla "rappresentazione di una idea più o meno filtrata e sintetica
della vita". (...) L'arte diventa una radiografia del tutto, in cui passato
e presente diventano una cosa sola, e da cui piano emerge quella che per Silva diventa
la sostanza delle cose e la forza che esprime la vitalità del divenire.
"Come l'archeologo cerca - spiega l'artista - così io scavo nel magma della
vita che sento". E scopre dimensioni illimitate della realtà, ne fissa una, che però
non rappresenta mai il tutto, ma un semplice frammento, che può essere nuovamente
trasformato e da cui potrebbero nascere nuove sollecitazioni.
La figura, mai nitida, ma sempre abbozzata e prorompente nella sua vitalità, è traccia,
che non signfica sedimentazione, non una forma di vita che ormai il passato si è portato
via e che l'arte ci restituisce nella sua staticità, ma momento in cui passato, presente
e futuro coesistono in una dialettica in fieri in cui si fonde il mito dell'organicità,
in cui pieni e vuoti si intrecciano in un dialogo infinito, in cui la forza vitale si alterna
al dramma metafisico di ciò che non c'è più, in cui "la storia umana,
consumata dai millenni, appare tutta in un istante immobilizzato". Una lettura di non facile
interpretazione, in cui forme e colori si fondono con un inevitabile sostegno teorico e
concettuale, che è poi la filosofia della vita nel suo compiersi, che è la storia
del mondo nel suo evolversi, che è la lotta dell'uomo con la natura, la storia di chi pensa
di potersi imporre, di poter ingaggiare una lotta che risulterà vincente, anche se alla
fine il dramma consiste proprio nella disillusione di chi comunque dovrà soccombere.
E come dice l'artista per cercare di comunicare il messaggio che viene dalla sua idea di
creatività , nelle sue opere "la fine e l'inizio si trovano in un equilibrio quasi
perfetto nella fissità della pittura, ma la pittura è soltanto rappresentazione
della vita, non imitazione. E qui le realtà è in una sola dimensione, ma la visione
e la coscienza della stessa sono in un'infinità di livelli o dimensioni relative.
Allo stesso modo - conclude - in me stesso trovo un non definito numero di diverse
possibilità di visione e quindi di relative possibilità di diverse espressioni".»
da "L'Esagono" del 5 maggio 1997 -
articolo di Roberta Dehò in occasione dell'esecuzione del bassorilievo per il palazzetto dell'oratorio di Villa Raverio***